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Lettera ad una donna che non c’è più

Se tu ci fossi ancora queste parole non le avrei scritte perché ti avrei parlato. Magari prima ti avrei scritto una email spiegandoti perché volevo così tanto incontrarti. E anche questo tu non l’avrei mica usato. Avrei usato il lei, anche se con la forma non sono molto brava quando parlo, figurarsi quando scrivo. Ma con te non avrei scritto, avrei avuto paura del tuo giudizio, avrei avuto paura di sentirti dire che in me non vedevi nemmeno un briciolo di quel talento che, potessi desiderare di avere qualcosa, desidererei sopra ogni cosa. Quel talento che perdona ogni vizio di forma e qualsiasi difetto di carattere. Quel talento che nasce da dentro e che non lascia mai indifferenti. Quel talento che avevi tu.

Se tu ci fossi ancora vorrei intervistarti, lo vorrei davvero tanto, ma soprattutto vorrei parlare con te, a microfoni spenti, di questo lavoro così bello ma così terribilmente difficile da fare bene e che, ti dispiacerà saperlo, sta finendo in malora. Ti chiederei come si fa a scrivere sempre la verità, una verità che non sia solo la mia, ma la verità per tutti. E ti chiederei anche come si fa a scriverlo così bene. Ma soprattutto ti chiederei come si fa a non farsi piegare da questa responsabilità, dalla responsabilità di informare, io che ho ancora tanto da informarmi, di stimolare, di creare dibattito, io che ho troppe risposte ancora da avere.

oriana

Non ti chiederei se sei stata una donna. Certo che lo sei stata, certo che ti sei innamorata e hai fatto innamorare, certo che hai pianto e che hai riso, certo che a volte sei stata semplicemente una donna. Io io ti chiederei di farmi da maestra, di poterti guardare lavorare, di rubare con gli occhi i segreti del mestiere e tu mi tratteresti talmente male da ferirmi, ma i giornalisti “vecchi stampo” è così che fanno. Però io te lo chiederei ancora e ancora e ancora. E anche se non me lo lasciassi fare, nello starti accanto, avrei comunque imparato qualcosa.

Di quella fierezza, di quell’orgoglio, di quel sentire forte le ingiustizie senza mai piegarti ad esse, fin da piccola. Ti chiederei come si fa a convergere il dolore in quelle pagine di pura emozioni, se imparare la bella scrittura si può, se la mancanza di talento si può colmare, almeno in parte, col tanto lavoro.

E come si scrive un romanzo. Uno di quelli belli, però, dove non c’è solo la storia ma anche la bella scrittura, dove ogni parola è accordata col suono della sua vicina, dove il contenuto sfuma i contorni fino a diventare musica.

Tutto questo ti chiederei, come essere brava, la più brava.

E, salutandoti, ti stringerei forte la mano per trasmetterti almeno un po’ di tutta quella stima che ho per la tua fine penna, Oriana.