Non di sole mamme è fatto questo blog, ma anche di matrigne. Di quelle belle, buone e pure brave, però. Tipo Rossella Calabrò, copywriter, blogger per Vanity Fair, scrittrice di successo e matrigna di due ragazze. Rossella, che proprio in questi giorni è in tutte le librerie con la la sua ultima fatica (Cinquanta sbavature di Gigio: il film ediz. Sperling & Kupfer), ha fondato “il club delle matrigne”, dedicato a tutte le donne che hanno scelto compagni o mariti di seconda mano, con figli avuti da altre.
Mi sono incuriosita e mi sono chiesta se, alla fine, essere matrigna è un po’ come essere pessima madre.
Rossella ha risposto. Con quel pizzico di ironia che mi ha conquistata.
Iniziamo dal semplice: le matrigne sono tutte cattive come si racconta?
Sono cattive, o buone, esattamente come tutte le altre persone del mondo. Però il loro ruolo, così difficile, tende a renderle insicure e, all’insicurezza, si sa, a volte si reagisce con l’aggressività oppure, diciamo, surgelandosi affettivamente.
Chi sono le matrigne di oggi?
Sono donne, spesso ragazze di neanche trent’anni, che si trovano ad affrontare una situazione piena di contraddizioni, di apparenti tabù, e soprattutto di pregiudizi. Io mi ricordo i dialoghi nell’ascensore di casa mia, ora mi viene da ridere, ma son dialoghi che fanno pensare. “Ma che belle le sue figlie” mi diceva qualche condomina. Io, che amo specificare sempre il mio ruolo in modo da non creare fraintendimenti, e soprattutto far abituare la gente a questa parola, rispondevo “Grazie, ma non sono le mie figlie, bensì le mie figliastre. Io sono la matrigna“. E regolarmente le signore mi guardavano con terrore e replicavano “Ma non la dica nemmeno, quella parola lì!“.
E Rossella Calabrò che tipo di matrigna è?
Le mie figliastre, da piccole, quando mi presentavano a qualcuno, dicevano: “Lei è Rossella, la mia matrigna” e poi subito si sentivano in dovere di specificare, con un sorrisone dolce “Però è proprio buona“. E, sì, credo di essere una matrigna buona, ma sono buona in genere, fin troppo. E ne sono orgogliosa. La bontà spesso viene intesa come coglionaggine (potevo dirlo?), invece è un valore immenso.
Che poi, mi viene da pensare, ma questo non è un ruolo in qualche modo privilegiato?
Privilegiato e gratificante, certo, perché una matrigna, se riesce a costruirsi un ruolo positivo all’interno della nuova famiglia, può rappresentare, per i figliastri, un adulto a cui fare riferimento. Ma, per ottenere questo ruolo, prima deve riuscire a sopravvivere. E ti assicuro che la vita emotiva di una matrigna è difficilissima, e all’inizio anche dolorosissima. Bisogna muoversi con estrema cautela, ma nello stesso tempo con slancio e generosità, bisogna essere elastiche ma nello stesso tempo saper mettere dei paletti. Mica facile, eh. L’ho spiegato, oltre che nel mio “Blog delle matrigne” su Vanity, anche nel mio libro “Di matrigna ce n’è una sola” edito da Sonzogno.
Io con il mio “club delle pessime madri” ho conosciuto un sacco di storie di mamme tutte accomunate dal senso di inadeguatezza. Immagino che sia successo anche a te con il “club delle matrigne”…
Sì, certo, inadeguatezza, e soprattutto insicurezza affettiva. Sentirsi, all’inizio, un’estranea, è terribile. Poi, però, col tempo (tanto tempo), questa sensazione passa, e anzi si può trasformare in un senso, tutto nuovo e tutto da costruire, di appartenenza. Con nuovi codici, e nuove modalità.
Le famiglie allargate, però, dopo gli scossoni iniziali ce l’hanno un valore aggiunto?
Be’, io per esempio sono felice che mio marito abbia due figlie nate prima che ci incontrassimo. Le considero un valore aggiunto inestimabile. Ma sono stata fortunata, perché io e le figliastre andiamo molto d’accordo. L’alchimia fra le persone è sempre diversa, non è detto che tra matrigna e figliastri scatti la magia, come in qualunque rapporto interpersonale ci sono casi in cui a pelle ci si piace, e altri in cui non ci si piace. Nel primo caso, scatta l’amore. Nel secondo, può (e deve) scattare solo un profondo rispetto.
Sei una scrittrice di successo, hai un blog seguito, da pochissimo è uscito il tuo ultimo libro, “Cinquanta sbavature di Gigio: il film” per Sperling & Kupfer. Qual è stato il tuo percorso professionale?
Io scrivo per mestiere da trent’anni. Ho lavorato come copywriter in varie agenzie di pubblicità internazionali, ho scritto canzoni, fumetti, ho lavorato sempre con le parole insomma. Dopodiché, maturando (sarebbe “invecchiando”, ma è più bello dire maturando, no?) mi sono messa a scrivere libri, è stata una svolta naturale. Ma sempre libri dove anche gli argomenti più seri, anche drammatici, vengono trattati con ironia. Perché la leggerezza, il sapersi prendere un po’ in giro, per me sono fondamentali. In “Cinquanta sbavature di Gigio: il film” per esempio, racconto del back-stage del film che sarà in tutti i cinema del pianeta tra pochi giorni. E lo racconto, ovviamente, ridendoci su. Ti dico solo, per farti capire, che uno dei personaggi del mio libro si chiana Oscar, ed è un pene parlante.
Sulle cinquanta sfumature ti chiedo: meglio Gigio o Mr Grey?
Be’, meglio un uomo che esiste, o uno che non esiste? Il Gigio è in carne e ossa, Grey va benissimo per i sogni, ma solo per quelli. E comunque un Gigio sa farci ridere, mentre il bellone delle sfumature, mica tanto, no?
A questo punto dovrei, di rito, chiederti se ti senti una pessima madre. Invece ti chiedo: “E se facessimo una fusione dei club per un tè tra donne”?
Se si ride e si sdrammatizza, prepara tazzine e biscotti. Non fonderemo i club, ma senz’altro ci divertiremo. Ah, io porto anche una Sacher, dai, che col freddo di ‘sti giorni ci vuole tanto cioccolato.
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