Qualche settimana fa ero a cena a casa di amici. Seduti a tavola c’erano dei giovani genitori con figli di età diversa. Il più piccolo aveva poco meno di un anno, il più grande quasi sei. I gradi di stanchezza erano diversi anch’essi, proporzionali all’età dei propri figli, ma soprattutto ad essere di gran lunga diverso era il tenore di sintonia tra i genitori di quei figli.
Inversamente proporzionale agli anni di genitorialità accumulati.
Il mio amico, metà di una delle coppie di genitori presenti che peraltro nel mio personale grado di stabilità si piazza quasi al livello più alto, ad un certo punto mi ha detto che con la bambina che stava crescendo stava enormemente aumentando anche la difficoltà di dialogo con sua moglie. Me lo ha detto con gli occhioni sgranati e con una faccia che sottintendeva: “Eppure, finora era andata così bene, non l’avrei mai creduta possibile questa cosa qua“.
Io, in un primo momento ho provato verso di lui un moto di tenerezza infinito, poi sono scoppiata a ridere.
A ridere di gusto, come una cretina. E mentre ridevo gli davo pacche sulle spalle, anch’esse molto cretine. Ridevo e pensavo alla spocchia inconsapevole che avevo da neo neo genitore (dato che mi ritengo ancora neo, il doppio neo è d’obbligo) e che, anche se non ne sapevo un cazzo di figli, di madri, di padri e di famiglie, mi faceva pensare con convinzione: “Ecco, vedi, è tutto difficile, tutto complicato, ma io e Lui andiamo alla grande. Parliamo, parliamo un sacco, parliamo sempre. Parliamo di tutto e andiamo alla grande“. E più pensavo a questa cosa e più ridevo. E più ridevo più pensavo a quale enorme illusione di avercela fatta ti genera un figlio piccolo, un miracolo, un nuovo inconsapevole inizio che, non sapendo ancora parlare al massimo ti piange addosso, ma non interrompe ogni accenno di discorso che a casa, timidamente, si tenta di fare. Pensavo al fatto che mio figlio, a sei anni, partecipa praticamente ad ogni discussione chiedendo, perorando, affermando la sua ragione.
Interrompendo.
Pensavo che tutto sommato a me va bene così, perché è parte del mio equilibrio, ma ridevo di fronte allo spaesamento di chi ancora intimamente convinto di potercela fare. Perché io se le coppie hanno reali possibilità di sopravvivere ai figli mica l’ho ancora capito: ho capito però che l’equilibrio “a tre” a volte è molto più stabile di quello a due. Proprio come un tavolo a due zampe sul quale è stata inchiodata la terza. E ora, senza quella terza zampa, non sarebbe più in grado di stare in piedi.
6 Commenti
Dunque la mia speranza di recuperare tempo e spazio per coppia a figlia cresciuta (ma cresciuta davvero!), è del tutto vana?
no no, io parlo per me… però dai, dipende dalle coppie… e dalla buona volontà.
“ho capito però che l’equilibrio “a tre” a volte è molto più stabile di quello a due. Proprio come un tavolo a due zampe sul quale è stata inchiodata la terza. E ora, senza quella terza zampa, non sarebbe più in grado di stare in piedi.” Grazie. Grazie x queste parole. Grazie per tutto quello che hai scritto. Mi sentivo in colpa al pensiero ma sapere che non sono l’unica a viverlo ecco…egoisticamente mi consola. Anna
consoliamoci a vicenda.
ma a che età ti riferivi parlando di “quando crescono”?
in generale non lo so, per me dai tre in poi direi.