In Italia la maternità a volte sembra essere qualcosa di molto simile ad un handicap. Quella, per lo meno, di chi vorrebbe continuare a lavorare dopo i figli. I servizi, lo sappiamo sono pochi e per lo più molto costosi. Si aspetta per anni quel momento giusto che con molta probabilità non arriverà mai. Un momento giusto che non sempre coincide con la fine di una precarietà economica perché, anche quando quei servizi possiamo finalmente permetterceli, saremo comunque costrette a scegliere. Carriera o famiglia? Figli cresciuti e goduti da te o lavoro? La conciliazione è un miraggio, diciamocelo. Bisognerebbe, piuttosto, iniziare a parlare di compromesso. Compromesso tra il prima e il dopo, ma anche tra lavoro e famiglia che non è conciliazione, ma cedere qualcosa da un lato e qualcosa dall’altro.
E qual è il giusto compromesso? Non c’è. Non ce n’è uno che vada bene per tutte. C’è quel compromesso che per alcune si chiama corsa affannata contro il tempo e quello che, per altre, ha il nome di un lavoro costruito su misura della propria famiglia. E dei tempi dei propri figli.
In ogni caso si tratta non di conciliare, ma di rinunciare, di scendere a compromessi. Con i sensi di colpa per un figlio lasciato crescere con i nonni o con la propria ambizione parcheggiata, in attesa che arrivino per lei tempi migliori. O la possibilità di realizzare un progetto “da casa”.
Poi c’è il compromesso di chi ha deciso di non fare figli perché, per non rinunciare a niente, ha deciso di rinunciare a diventare mamma. Perché le condizioni sono queste e alcune donne, più lucide di altre, semplicemente dicono di no. Oppure perché, semplicemente, è successo.
E allora possiamo ancora parlare di conciliazione? Io direi di no, non ancora.
Possiamo dire che la maternità è un handicap? No, non lo è, ma il senso comune non è di certo ancora pronto a vedere bimbi in giro ad ogni ora del giorno e della notte, genitori che vanno ai concerti con i propri figli, mamme che lavorano fuori casa per molte ore al giorno, famiglie che hanno scelto di esserlo oltre ogni convenzione. Donne che possono uscire dal loro ufficio alle cinque senza dover essere debitrici a nessuno.
E allora no, la maternità non è un handicap, ma è qualcosa che ha molto a che fare con il coraggio, qualcosa che, all’improvviso, trasforma una donna in un’eroina dei tempi moderni. E sì, le nostre bisnonne sono state eroine cinque, sei volte, in maniera diversa, ma lo sono state pure loro.
I figli non sono un capriccio, ma sono sempre di più una scelta di coraggio prima che d’amore. E non dovrebbe essere così. Mai. La responsabilità non dovrebbe essere più solo della donna. Né solo dell’uomo. Non dovrebbero mancare sempre le condizioni ideali. I genitori non dovrebbero dividersi in quelli fortunati con nonni e quelli, addio alle armi, senza.
Il nostro Paese probabilmente non riuscirà mai ad affrancarsi da alcuni retaggi culturali che vogliono la mamma fare la mamma e non il sindaco, ad esempio. Credo però che i figli debbano diventare responsabilità di tutti, di una società civile ancora troppo intrisa da pregiudizi e stereotipi.
Finché una donna manager farà notizia, cari miei, la maternità forse non sarà un handicap, ma di sicuro qualcosa di molto, molto vicino ad un privilegio.
Blog
10 Commenti
Purtroppo spesso è così: ci si deve arrangiare alla meno peggio e i nonni spesso fanno la differenza. Compromesso è proprio la parola giusta. Sigh.
Ma noi mica ci faremo scoraggiare da tutto questo? D’altra parte senza un po’ di sana difficoltà che gusto c’è???
Purtroppo è così….almeno per ora….il sistema sbagliato e lo stato assente!sarebbe bello un asilo nelle aziende sia private che pubbliche!!!mandare in detrazione le rette del nido,il pulmino,i buoni mensa,i pannolini,il latte e i libri scolastici….e perché no pure gli sport dei nostri bimbi!!!!
Pensare che in molti paesi europei lo fanno da anni,pensare di poter accudire le giovani marmotte quando stanno male senza sentirsi in colpa!!!i bambini vengono vissuti come delle zavorre quando invece sono una grande risorsa!!!
In questo caso mi vergogno di essere italiana….
È così, e c’è da augurarsi che non lo sarà più quando saranno i nostri figli ad essere genitori. Non dobbiamo provarci, con i mezzi che abbiamo e farlo anche per loro.
Ma non deve essere per forza così. Ho appena pubblicato sul blog una statistica inquietante: al sud più della metà delle donne smette di lavorare, fa la casalinga. Lavora solo il 37%.
Però se andiamo in Svezia lavora l’80% delle donne, quasi come gli uomini.
E lo so che la Svezia è la Svezia, ma se devo puntare a migliorare, punto in alto 🙂
Significa, ancora una volta, che il problema non sta nella biologia, nella natura che ci fa allattare e quindi occuparci di più dei cuccioli.
Dobbiamo pretendere. Dobbiamo farlo. E mi spiace che la preoccupazione sia solo femminile, quando invece è un problema di tutti.
Lo so, hai ragione, ma non dipende solo da noi, cioè non solo dalla nostra volontà. La situazione in Italia è quella che, è vero dobbiamo pretendere, ma il livello di partenza è davvero, davvero, molto basso.
Vivo in Emilia Romagna, che pare essere la regione maggiormente indietro.. Mi consola e mi dà coraggio sentire, che ci sono casi di part time concessi senza tanti problemi e il sorgere di qualche asilo aziendale.
Il mio Pietro crescerà con i nonni, io dimenticherò gli sguardi di rimprovero con cui mi saluta quando esco per andare a lavoro, passerà la stanchezza, l’essere sempre di corsa ed avere una casa sotto sopra…. CI SPERO.
Sì, sì, passerà. Poi tornerà, ma poi passerà di nuovo.
Tra qualche giorno rientrerò a lavoro dopo 6 mesi di congedo (e io mi sento anche fortunata ad avere diritto ad un congedo retribuito).
Nel guardare la tabella con incastri orari vari miei, del papà, dei nonni e della tata, mi sono resa conto di sentirmi in colpa per:
-lavoro: ci starò troppo poco
– pupo: ci starò troppo poco
– marito: ci starò troppo poco
– nonni: sono nonni e magari potevano godersi la pensione andando a svernare alle Bahamas
In ogni caso mancano 5 giorni al rientro e guardando mio figlio mi ritrovo a piangere come un ebete ( parla una che fino a due anni fa per ambizione stava mettendo da parte l’idea di avere un bimbo) pensando a quanto mi perderò di lui. E anche un po’ spaventata per quello che troverò a lavoro, perché se è vero che il congedo è un diritto, proseguire indisturbata nella scalata alla carriera a quanto pare no, solo X il fatto di essermi assentata per 6 mesi (dopo 10 anni) dal posto di lavoro….
Sicura però che tutti questi contrasti mi stanno rendendo più forte ….
Sì, ce la farai… e troverai la tua “situazione” migliore (al netto di qualche sofferenza)