Ieri sera pensavo alla maternità. Non alla maternità in senso generico, ma proprio al congedo di maternità. Quel periodo di riposo, pace e serenità che spetterebbe di diritto ad ogni donna lavoratrice.
Ecco, ci pensavo e mi chiedevo se la mia ansia, l’angoscia, la tristezza dei mesi pre e post parto non fossero da attribuire proprio all’assenza di una qualsivoglia tutela nei miei confronti. Ho lavorato fino all’ottavo mese per scelta mia e sono tornata in ufficio che Pit aveva appena quattro mesi. Non avendo un contratto che mi tutelasse, a dirla tutta, non ero nemmeno così sicura che in ufficio ci avrei mai rimesso piede. Mi sono preoccupata, arrovellata, attorcigliata e non mi sono goduta proprio nulla di quel momento là. E quello che mi chiedo, oggi, è se tutto sia dipeso proprio da quella maledettissima (o benedettissima?) tutela che non c’era. Se con un contratto che mi avesse assicurato un ritorno al lavoro, uno stipendio, un rimborso, du’ spicci e due pacche sulle spalle, non avrei vissuto più serenamente l’intera gravidanza.
Non stavo in piedi, avevo bisogno di tempo e di capire, e digerire, il cambiamento che mi stava fagocitando. E dovevo dedicarmi. Invece pensavo e ripensavo a quello che sarebbe stato se, e a come avrei fatto a. Sentivo di dovermi giustificare col mondo, e con me stessa, perché ero a casa invece di essermi riattivata immediatamente (tre-mesi-dico-tre). Perché chissà cosa avrebbero pensato di me che, invece di rimboccarmi le maniche, pensavo solo al benessere di un esserino che dipendeva anima e corpo dalla sua mamma.
Perché, mi chiedo ancora, una lavoratrice precaria deve essere condannata ad essere una mamma meno serena, più stanca e distratta, confusa e angosciata? Non basta già fare a cazzotti tutti i mesi con cattivi pagatori, clienti che ne vogliono sapere più di te pur avendo chiesto la tua consulenza, scadenze che si accavallano, standard di qualità sempre più alti? Non è già abbastanza svegliarsi di notte col pensiero di che ne sarà di noi manco fossimo i protagonisti di un film di Muccino? Perché dobbiamo farci rovinare anche l’unico (o quasi) momento della nostra vita in cui saremmo davvero legittimate a fregarcene del mondo? O per lo meno, semplicemente, a rallentare un po’.
Una risposta non ce l’ho. Di sicuro abbraccerei la me di due anni fa e le direi di rilassarsi, che il mondo tanto va avanti e che il tempo per recuperare ci sarà. Ti giuro che ci sarà. Però, adesso, prenditi il tuo tempo, mi cara mamma precaria, puoi farlo, è questo il tuo vantaggio.
Questo le direi.
12 Commenti
Non so se è un problema solo delle madri precarie… xchè anche con un lavoro poco soddisfacente e a tempo indeterminato, mi sono sentita in “difetto” x non essere rimasta al lavoro fino all’ottavo mese, x non essere tornata subito, xchè arrivo tardi al mattino o devo prendere permessi per portare la piccola dal pediatra… eppure anch’io vorrei tanto prendermela con più calma e godermi quello che ho…
Ah, vabbé, per quel che riguarda il sentirsi in colpa, o in difetto, io credo che non ci sia proprio soluzione. Conciliare la maternità con il lavoro (o il pazzeggio) è difficile, non so nemmeno se sia una questione di Italia o di mentalità italica. Quello che dico è che, a parità di paranoie, avere avuto una tutela maggiore mi avrebbe aiutato a rilassarmi. Tutto qua.
Presente. Primo figlio a casa a 15 giorni dal parto fino ai suoi 3 mesi. Seconda figlia a casa a 3 giorni dal parto fino al suo mese e mezzo (ora ai suoi 6 mesi tornerò in ufficio full time, nessuno mi obbliga, tranne l’affitto e le bollette da pagare).
Fossi stata dipendente con maternità probabilmente sarei rientrata ai tre mesi comunque ma non avrei passato il periodo a casa con l’ansia dei conti, del perdere i lavori e del dover comunque lavorare per le urgenze.
Tanta sana invidia per quelle che vedo intorno a me stare a casa ad oltranza senza il minimo problema
No, guarda, per me non è una questione di invidia ché tanto a casa ad oltranza non ci sarei rimasta comunque. Più che altro è un dire che servirebbero tutele diverse, che vanno al di là di questo o quel contratto, che ci dovrebbero essere per tutte le mamme. Ma credo che questo l’abbia detto già qualcuno prima di me.
L’invidia era per il fatto che stanno a casa senza proccuparsi perchè comunque una parte di stipendio la prendono. Neanche io sarei rimasta a casa ad oltranza ma se avessi potuto godermi in TRANQUILLITA’ l’ultimo mese di gravidanza e i primi tre/quattro mesi di vita dei miei figli non mi avrebbe fatto schifo ecco. Purtroppo però nessuno mi garantisce che il mio lavoro sia ancora li se mi assento completamente anche solo per un mese.
già, ma io ti capisco sa. solo che, effettivamente, “mamme col contratto” ieri mi facevano notare che la stabilità non ti mette al riparo da mobbing o dal demansionamento che, comunque, esiste. è dura, la verità, è che conciliare è davvero dura. bisognerebbe trovare la propria strada, riuscire a fare qualcosa in maniera flessibile (e redditizia) ma, purtroppo, non è così semplice!
…dopo 35 giorni di vita, magicamente ma non tanto (a me sembra comunque una magia), la mia creatura dormicchia 3 ore di filata. Abbandonate le pretese da madre naturalissima che allatta “a chiamata”, a causa di uno snasato esaurimento da mucca pazza, ho reinterpretato le regole dei favolosi anni ’80, quando l’ospedale era una specie di pollaio per mettere i bambini all’ingrasso e le mamme avevano orari rigidissimi. Orari che per me sono serviti TANTO. Così tanto che finalmente sono qui a scrivere. In questo blog che per me è un sospiro di sollievo.
Quindi prima di tutti Grazie Lucrezia Grazie.
C’è una nuova mamma che ha bisogno di un drink!
Poi.. questo post è tutto ciò che io ho sentito e sento.
Sono anche io mamma (libera) professionista alle prese con una asfissia di fondo, data da quella mancanza, non di certezze, ma di tutele. Quel “perchè io no”, ti ronza continuamente in testa e a volte ti offusca a malincuore i momenti che dovrebbero essere perfetti. Ma per “noi” non lo sono in maniera così scontata.
Anche io tra poco riprenderò ad andare in studio. Dopo un mese e mezzo.
Ma mi sono detta: affrontiamo la realtà; se non vado il ronzio diventa assordante e non mi va che la bimba non mi senta… quindi, meglio cedere ed essere più serena. Questo mi aiuta.
Ma non risolve la questione…
ciao Maddi, sono contenta che sia riuscita a “regolarizzarti”. Le pretese (o le attese) perdono di fascino quando si scontrano con la realtà e credo che l’unica cosa giusta sia quella che è giusta per noi (mamme) ora. Per la precarietà, lo so, ma d’altra parte a noi piace di soffrire, no?!
Anche io sono una madre con partita iva (leggi: precaria) e sono stata a casa fino ai 5 mesi del bimbo non tanto per scelta o per tutela ma perché non avevo lavoro in quel periodo. Me la sarei potuta vivere molto più serenamente se avessi avuto la certezza di avere un lavoro dopo la maternità, ma così non è stato. Poi da un giorno all’altro ho ricevuto una telefonata e sono stata spedita a lavorare a 200 km di distanza.. Credo che il rientro al lavoro sia motivo di ansia per tutte: i sensi di colpa, il mobbing, gli orari a cavolo, però noi abbiamo in più l’incognita di non sapere se e quando rientreremo, ed è nettamente peggio.
sì, è così
Io sono una futura mamma con contratto a tempo indeterminato, all’ ottavo mese di gravidanza. Nulla mi ha preservato da mobbing incalzante e spudorato e da un demansionamento veramente allucinante dal primo momento in cui ho comunicato la gravidanza. Fino al punto che non ho goduto della flessibilità e sono andata in maternità all’ ottavo mese pur di scappare da lì. Ancora ora continua una pressione psicologica non indifferente che, vi assicuro, mi rende uguale a tutte le donne-mamme-lavoratrici-precarie. Siamo tutte, più o meno, sulla stessa barca!
Già, hai ragione e la cosa è molto, molto, molto triste!