Le interviste

Ilaria Ravarino, freelancer italiana che ha deciso di far crescere suo figlio a Berlino

Ilaria Ravarino è una giornalista freelancer italiana. Ilaria è anche una mamma che ha deciso di far crescere il suo bambino fuori dall’Italia, a Berlino. In una città in cui, mi racconta, nessuno rema contro il suo diritto di lavorare ed essere, allo stesso tempo, madre.

La scelta di Berlino l’hai fatta prima o dopo la nascita di tuo figlio?

Diciamo che la libera scelta è diventata necessità quando è nato mio figlio. Mio marito, anche lui freelancer, lavorava a Berlino da anni e per molto tempo la nostra è stata una relazione a distanza. Ma quando è arrivato il bambino, nel novembre 2012, era ormai chiaro a entrambi che a Roma – con i nostri lavori precari – non ce l’avremmo mai fatta a sostenere né le spese legate al bambino, né i ritmi (chiamiamoli così) imposti dalla città ai genitori. Berlino ci prometteva una qualità di vita migliore: tre mesi dopo, a febbraio, eravamo là.

Perché proprio questa città?

Prima di tutto perché potevamo già contare sulla base costruita da mio marito in dieci anni di vita a Berlino: partivamo con una casa, con una rete di conoscenze, già allenati alla burocrazia tedesca e alla lingua. E poi, come genitori, ci confortava sia la sicurezza di poter contare sul muscolare welfare tedesco che l’idea di far crescere nostro figlio in un ambiente multiculturale, aperto, stimolante.

Quali sono le cose che rendono concretamente Berlino una città a misura di famiglia?

In grande: il kindergeld, cioè il contributo economico che lo stato assegna mensilmente alle famiglie per la crescita del bambino, e la capillare presenza di asili sul territorio. Asili la cui retta – salvo nel caso di alcune strutture private – viene ampiamente coperta dal kindergeld. In piccolo, e si fa per dire: la cultura. La coppia viene incoraggiata a condividere ogni aspetto della crescita del bambino e, a differenza di quanto avviene nel nostro paese, l’assistenza e la cura del figlio non grava esclusivamente sulla madre. La responsabilizzazione dei padri va di pari passo con l’emancipazione delle madri. In piccolissimo: la radicata presenza in città dei Kindercafè e la pervasività delle aree bambini; la routine dei negozi di seconda mano per bambini (qui è un business), che abbatte i costi delle spese “di gestione”; il numero esorbitante di parchi giochi o strutture coperte per i più piccoli: solo nel mio quartiere ci sono circa 90 “parchetti”. Regolarmente manutenuti.

Con voi non avete i nonni, né aiuti terzi. Come siete riusciti a sopperire a questa mancanza?

L’asilo ci tiene il bambino dalla mattina fino alle cinque del pomeriggio, e questo ritmo tende a conciliarsi bene con il nostro lavoro. In caso di imprevisti – un’influenza, un impegno professionale extra, una cena fuori – facciamo come fanno tutti: babysitter, amici, vicini di casa. E nei casi estremi si importa una nonna (una alla volta, per carità) dall’Italia.

Come vivi il fatto di vedere tuo figlio crescere lontano dalle tradizioni del tuo paese?

Sono felice che cresca qui e che apprenda i valori della cultura in cui si sta formando. Dell’Italia e delle sue “tradizioni” gli rimarrà quel che sapremo trasmettergli noi genitori, non ho paura che si perda qualcosa per strada, nè ho l’ansia di recuperarla a ogni costo. Crescerà, spero, come un bambino europeo: radici nel nord e nel sud del continente, più di una lingua in testa e un approccio al concetto di “tradizione” completamente diverso dal nostro.

Essere una mamma freelance a Berlino è davvero più semplice che essere una mamma libera professionista in Italia?

Gli italiani tendono a pagarti poco, male e a scadenze irregolari anche se vivi a Berlino, sia chiaro. Ma il costo della vita qui è più basso e consente di tenersi a galla anche con poco. Quanto alla conciliazione, mettiamola così: non ho mai la sensazione di dover risolvere altri problemi oltre a quelli che riguardano il mio lavoro. Mi posso spostare agevolmente in città con il bambino, portarmelo sui mezzi di trasporto, lavorare in un kindercafè mentre lui gioca tranquillo. Ho potuto contare fin da subito sull’aiuto dell’asilo. Nessuno rema contro il mio diritto di lavorare ed essere madre.

Nel vostro futuro c’è l’Italia?

Solo nel caso in cui si aprisse una posizione lavorativa molto conveniente per almeno uno di noi due. Per essere ottimista dunque direi: non a breve termine.

Che cosa ti senti di suggerire ad una giovane mamma italiana alle prese con le difficoltà di conciliazione con il lavoro e la vita sociale?

Suggerirei a papà e mamme di cominciare a pretendere con fermezza rispettivamente il diritto alla cura del bambino e il diritto all’autodeterminazione. È una battaglia che va combattuta insieme, uomini e donne, sia a livello pubblico che privato: nella “politica domestica” come in quella del paese.

Domanda di rito: capita anche a te, a volte, di sentirti una pessima madre?

Oh, sempre. E in questo il trasferimento a Berlino non ha aiutato un granchè. Certo, nessuno ti guarda male se al kindercaffè ti ordini una birra: e questo è un vantaggio. Ma essere l’unica madre a portare il bimbo in ritardo all’asilo, l’unica a dimenticarsi la Lantern Fest (che diavolo è, la festa delle lanterne?) e l’unica a gonfiare il pargolo di dolcissime uova di cioccolato a Pasqua, beh, non sono cose che aiutano l’autostima…

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