Vittoria Baruffaldi è una mamma torinese che è anche una professoressa. Insegna storia e filosofia, ma dimenticatevi lo stereotipo della proff. che ha popolato i vostri incubi durante gli anni del liceo. Vittoria è dolce e simpatica. E molto preparata. Nel suo blog “La filosofia secondo babyP” ha iniziato a raccontare la filosofia, legandola all’esperienza della maternità e i suoi esercizi di meraviglia si sono presto trasformati in un libro, edito da Einaudi, nel quale racconta che ogni bambino si può trasformare in un piccolo filosofo: basta osservarlo con attenzione mentre esplora il mondo.
Come si fa a fare la mamma “con filosofia”, cioè arrabbiature incluse intendo?
Fare la mamma con filosofia è l’opposto di fare la mamma che “la prende con filosofia”.
La prima è colei che si complica la vita, a suon di domande, dubbi e capovolgimenti.
Vantaggi? Imparare a sbagliare, capire; diventare la madre che si sceglie di essere.
Com’è cambiato il rapporto con il tuo lavoro dopo che sei diventata mamma?
Io insegno storia e filosofia al liceo: dopo dieci anni di precariato sono finalmente entrata di ruolo. Quando mia figlia era più piccola ho dovuto fare i conti con questa realtà di sedi lontane da casa, progetti didattici lasciati a metà, incertezza economica.
Comunque, è il mestiere che volevo fare e che mi piace fare; entro ancora in classe sorridendo. Ed è un mestiere che mi consente di avere del tempo libero da trascorrere con mia figlia.
Se devo essere onesta, da quando c’è mia figlia lavoro meglio: i tempi sono ristretti e mi concentro di più, oltre al fatto che la maternità è stato un terremoto creativo.
Sono partita illustrando libri di favole per lei, poi sono passata a dipingere quadretti sgangherati, e infine la scrittura.
Al liceo mi sono spesso chiesta come si comportavano le mie professoresse con i loro figli. Tu che mi dici al riguardo?
Me lo sono spesso chiesta anche io: mi immaginavo quei poveri bambini alle prese con una madre coi mocassini e il filo di perle che invece di raccontare Cappuccetto rosso sciorinava la regola di Ruffini o la parafrasi di A Silvia. Mia figlia va all’asilo, impara e gioca. Quando la vado a prendere le chiedo: ti sei divertita? Sì, mi risponde, e questo mi basta.
A casa mi vede spesso leggere e scrivere, e quindi vuole giocare a leggere e scrivere. Le racconto miti platonici rivisitati e storielle ambientate ai tempi di Napoleone. Le do quello che conosco. Ti diverti? le chiedo, e mi risponde: Sì.
Per ora va così: lei si diverte e io non ho ancora il filo di perle al collo.
I piccoli ci insegnano la meraviglia, è vero, ma come si fa a concentrarsi su quella e non sulle difficoltà?
La meraviglia è una forma di stupore, persino di sgomento, di fronte alla realtà. La realtà è complessa, contraddittoria, e lo sguardo meravigliato serve proprio a scendere in questa complessità. Vedere le cose, meglio, da ogni lato, e poi interrogarsi sul loro significato. Infatti i bambini ci parlano di felicità, amore, amicizia ma anche di morte, solitudine, noia. Si cammina insieme, la mano piccola dentro la mano grande, dentro la vita.
Scriverai altri libri?
Scrivere è qualcosa che mi è accaduto, ed è un lavoro faticoso e lieve al contempo. Se ci sarà di nuovo un tema che m’interesserà analizzare, e se verranno le parole e le immagini, sì. Ho un certo pudore nei confronti della scrittura: niente trucchi da quattro soldi, insomma.
Domanda di rito: capita anche a te, a volte, di essere una pessima madre?
Mi capita di essere la madre che sono, poco meravigliosa e molto meravigliata. Improvvisare un pic-nic, sedute sul parquet, mangiando sofficini e patatine con le mani. Capita di essere felici, a modo nostro.
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