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Sono passati due anni, ma ancora riuscite a farci sentire madri sbagliate

Torno, perché tutti tornano. Torno soprattutto perché oggi per il secondo anno consecutivo ho pagato il dominio di un blog nel quale nel corso dei dodici mesi passati non ho scritto neanche una parola. E per la prima volta mi è sembrato un grande spreco.Torno dopo la presa di coscienza che su questi schermi in questi quasi due anni non è cambiato praticamente un cazzo. Ci sono ancora donne che si fanno la guerra tra di loro. Giovani femministe giustamente arrabbiate che combattono battaglie di serie A e battaglie di serie B. Madri di figli unici che rivendicano il loro diritto a decidere di smettere di procreare contro donne che se non ne hai almeno tre di figli allora che mamma sei.

Madri di pancia che sostengono che l’amore verso un figlio si impara solo portandolo in grembo e quindi vade retro, genitori di figli adottivi (giuro, l’ho letto solo qualche giorno fa).

Donne che di figli non ne vogliono e che chiedono solo di essere lasciate in pace perché, e per tanto tempo giuro di aver pensato che non avrei mai più avuto bisogno di scriverlo, la levatura di una donna, il suo essere sbagliata, non lo determina il suo essere o non essere madre di qualcuno.

Per fortuna, ringrazio il cielo, nel frattempo la scena è stata movimentata da una nuova e sacrosanta battaglia: quella del voler visto riconosciuto il proprio valore come persona e non in quanto uomo o donna, motivo per cui qua sopra (ammesso che a questo post ne seguiranno altri) si inizierà a parlare di genitorialità e non più solo di maternità.

Quindi, mi tocca. Non avrei voluto più scrivere di figli, di genitori, di sensi di colpa, per un lungo periodo mi è sembrato così superfluo specificare concetti detti, ridetti, ribaditi, ripetuti, eppure. Ancora leggo post, giornali, nei quali si va a caccia di click sulla pelle delle donne che (spoiler) ve lo dico, non ne possono più e a breve reagiranno con una violenza tale che le porterà a passare dalla ragione al torto (sì, ragazze elettriche mi è piaciuto parecchio).

Poche cose mi fanno andare in tilt il cervello come la narrazione tossica che ancora si fa del diventare genitori. In anni, sei, di blog ho ascoltato le storie di centinaia di donne che mi hanno raccontato di quanto fossero state le aspettative a fregarle, più di tutto il resto. Quando resterai incinta capirai, vedrai, saprai perché l’amore ti travolgerà come un’onda e quell’amore sarà la risposta per tutto.

Solo che non va sempre così, anzi la maggior parte delle volte non va affatto così. Ed è esattamente quando non va così che ti senti sbagliata, degenere, non all’altezza. È a quel punto che inizi a lottare con i sensi di colpa, a pensare di essere l’unica donna stronza perché non è abbastanza felice proprio ora che dovresti esserlo. Perché è così che ci hanno detto che dovremmo essere mentre la pancia cresce: felici, immensamente grate e felici. E per capire fino in fondo che l’unica ad essere sbagliata è quella narrazione nociva che della genitorialità si fa, falsata, superficiale, parziale ci vogliono magari anni.

Ci vuole una rete di supporto. Ci vuole l’analisi. Ci vuole di mandare affanculo con veemenza chi invece di tenderti la mano ti giudica, ma soprattutto chi si permette di veicolare ancora e ancora e ancora la narrazione velenosa in questo modo tanto superficiale quanto dannoso. Con un giornalismo, una comunicazione, ancora una volta votata al sensazionalismo.

E il problema, ribadisco, non è tanto la felicità che si prova davanti ad un test di gravidanza positivo (o le lacrime davanti ad uno che continua a restare negativo). Non sono le reazioni del singolo ma la convinzione, che dovrebbe essere radicata profondamente in ognuno di noi, che diventare o non diventare genitori è sempre e solo una storia personale.

Non della collettività.

Non della società.

Ma della singola persona.

 

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