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Contano i fatti, ma anche i “ti voglio bene” pronunciati

Se vi chiedono cosa conta nella vita, voi rispondete i fatti. Lo so. Rispondo anch’io i fatti ma ci aggiungo sempre che anche le parole hanno il loro perché e per accompagnare i fatti vanno bene. Proprio benissimo.

Le parole i fatti li completano. Li spiegano.

Gli danno un valore ancor più grande e spesso, quando è proprio impossibile farli i fatti, danno calore e conforto anche loro. Come possono. Come sanno.

Per questo mi sforzo di abituare mio figlio a dire anche le cose più  banali. Quelle troppo spesso date per scontate. Sì, perché a dire le cose ci si deve abituare, addomesticare direbbe qualcuno, soprattutto se queste parole sono portatrici di sentimento. Ma anche quando sono vuote, un semplice riempitivo, parole appunto.

Servono. Servono sempre. E serve imparare (e insegnare) a dirle perché le parole hanno un potere che a volte i fatti non hanno: quello di esserci. 

A mio figlio ripeto spesso che gli voglio bene, anche quando non serve, anche quando è superfluo, e quel bene mi torna indietro quasi a ripagarmi di tutti quei “ti voglio bene” che mi sono stati taciuti per pudore, o forse perché il loro potere è stato sempre sottovalutato da chi mi era vicino. 

Mi tornano indietro come un regalo che ha il suono dolcissimo di un “Lo sai mamma che io ti voglio bene fino allo spazio. Che è quasi fino alla luna“. Dolcissimo.

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